martedì 15 ottobre 2013

"Abbassa la tua radio per favor...se vuoi sentire i battiti del mio cuor"

"Sarebbe tutto più facile se non ti avessero inculcato questa storia del finire da qualche parte, se solo ti avessero insegnato, piuttosto, a essere felice rimanendo immobile. Tutte quelle storie sulla tua strada. Magari invece siamo fatti per vivere in una piazza, o in un giardino pubblico, fermi lì, a far passare la vita, magari siamo un crocicchio, il mondo ha bisogno che stiamo fermi, sarebbe un disastro se solo ce ne andassimo, a un certo punto, per la nostra strada, quale strada?, sono gli altri le strade, io sono una piazza, non porto in nessun posto, io sono un posto" (A. Baricco)

...questo è un po' il succo dei pensieri di questi ultimi giorni, pensieri sollecitati dai posti visti, dalle persone incontrare, di cui avrei voluto condividervi le foto, ma stasera la connessione non me lo consente...dovrete accontentarvi dei pensieri=)

Io sono una piazza, un giardinetto e non posso andare contro la mia natura. La possibilità di essere strada mi attira ma al contempo mi paralizza, deprime le mie energie buone.
Non voglio rimanere immobile ovviamente, ma voglio "esserci" nel mio ora e nel mio qui nel modo più pieno, e non vivere continuamente protesa verso mete non meglio identificate. Io sono una piazza, un crocicchio perché voglio essere "abitata" dalle persone, voglio che si fermino nei miei spazi, che li gustino.
Un giardinetto stile Bryant Park o Union Square, in cui chiunque arriva può prendere una sedia e mettersi comodo, o un tiepido Central Park d'autunno in cui distendersi al verde per lasciarsi accarezzare dal sole.

Io sono una piazza da attraversare: non voglio trattenere nessuno, perchè  nessuno mi appartenga mai davvero e io possa amare tutti in libertà (la mia e la loro).

Pensieri che hanno riempito il mio fine-settimana piuttosto impegnativo...Sabato ho girato come una trottola impazzita, tra la 85sima e Central Park, tra un vera colazione americana - con tanto di burro alla fragola per i pancakes, e il festival dell'architettura. Nel tardo pomeriggio sono approdata sulla 23rd a sperimentare il pezzo di cielo "italiano" che si vede dal roof garden di Eataly con un bicchiere di Bianco delle Langhe in mano e per continuare nel mood nostalgia ho cenato con una veloce pasta per poi finire negli ormai noti locali dell'East a sentire tanta musica. La mattina dopo mi sono risvegliata, sempre nell'East, con solo 4 ore di sonno all'attivo; ma avevo un appuntamento con una persona tanto cara al mio cuore e non intendevo mancarlo. Ho sceso le scale e sono arrivata in strada nel più totale silenzio: bella New York alle 7:30 di domenica! Ho respirato fino in fondo il silenzio che mi circondava. Neanche dieci minuti a piedi prima di arrivare alla metro, ma mi sono parsi eterni. Ho misurato i miei passi, ho sniffato con gusto l'odore della caffetteria Vita, e lì credo di aver capito cosa la città voleva insegnarmi per questi giorni:la radice della nostra continua insoddisfazione è proprio il voler mangiar dell'albero della conoscenza del bene e del male. Una città come New York ti fa sperimentare in piccolo una verità valida per l'intera vita: quasi sempre siamo mossi dal desiderio del "tutto", ma non del "meglio". Vogliamo vedere, sentire, provare, sperimentare, mantenere, vivere tutto, ma non ci chiediamo cosa per noi sia il meglio. Ci affanniamo, soffriamo, ci esauriamo rincorrendo questo desiderio di "tutto", di perfezione per noi irrealizzabile, e non ci accorgiamo che il "meglio" quasi sempre sta nel "poco" o meglio nel "piccolo".


Ultimo pensiero...Ho usato sempre troppe parole per "circoscrivere" la mia vita, continuamente alla ricerca della parola migliore per definire le situazioni, i sentimenti, continuamente impegnata a fare propositi di etichettatura. Ci rinuncio, ufficialmente. Accetto il complicato mondo di contraddizioni che mi porto dentro perché sento che finalmente Qualcuno lo ama davvero e depongo la penna per un po' perché non sia più io a dare forma (o a cercare di dare forma) alla realtà con le mie parole, ma la realtà, anzi la Verità, a riempirle e a dargli senso.
Abbasso il volume delle mie "radio" cari amici...almeno per un po' per cercare di decifrare i battiti del cuore.


mercoledì 9 ottobre 2013

Non è più in vetrina...ma ne sono parte.

Ho aspettato un po' per scrivere questo nuovo post. Ho aspettato di avere nuove foto da condividere, di trovare nuove storie da raccontare.
Ma non ne ho in effetti. E non perché in queste due settimane il mio soggiorno a NY si sia improvvisamente "svuotato", anzi...
Ho smesso di mettere NY in vetrina e ho iniziato a viverci davvero.
Ho iniziato a tessere il mio quotidiano, che ha preso la forma del vivere comune a tutti: è fatto di ritmi, di tempi che si ripetono con armoniosa continuità, è fatto di fatica, di lavoro, ma soprattutto è fatto di familiarità.
Familiari sono diventati i volti, i luoghi, i gesti. Bello avere un volto amico che ti aspetta alla fermata della metro per far un pezzo di strada con te; un sorriso noto con cui condividere il pranzo; entrare nella sala lettura e guardarti intorno avendo qualcuno da cercare; avere occhi che iniziano a riconoscere i movimenti del tuo cuore intravedendoli nei tuoi occhi.

Forse il prezzo da pagare è il perdere un po' dello stupore, ma esiste la possibilità di mettere insieme le due dimensioni: il gusto rassicurante delle cose che iniziano a "sapere" di te e quello  intrigante delle cose mai provate e tutte da scoprire. Si può continuare a meravigliarsi anche vivendo ogni giorno la stessa cosa: la meraviglia è una condizione dell'anima, che nasce dal saper ascoltare, nella possibile immutabilità dell'essere, la mutevolezza del respiro.

Ho smesso di fare foto ad ogni angolo (il che certo non vorrà dire che non ne farò più) perché ho smesso di guardare dall'esterno questa città: ho iniziato ad entrarci, a diventarne parte...almeno un po'.
Ad accrescere questa sensazione l'incontro inaspettato con un'amica vera del mio cuore, di passaggio per qualche ora qui. La sensazione di accoglierla in uno spazio in fondo "mio" e anche un po' "suo", unita alla percezione che quando sono i cuori ad incontrarsi, e non solo i corpi, il dove sia davvero irrilevante: casa.

Non ho foto, quindi, da condividervi ma vita quella sì, consapevole che la vita pulsa a NY come in qualsiasi angolo dell'universo.
Il mio tempo qui si è arricchito di nuovi compagni di strada che sono diventati compagni di scoperte: storie diverse, diverse radici, ma nella voce e nel cuore desideri e difficoltà comuni. La solidarietà facilita il senso di appartenenza e lo alimenta (e questa è una verità sociale). Loro il contenuto vero delle cose che sperimento che fanno da cornice.
L'offerta infinita di questa città  mi ha portata dall' happy hour al museo buddista (con a seguire cena Thai a base di maiale ed ostriche:super!), al documentario sul movimento MOVE  al Forum Film; dal sandwich canterino e ruomoroso di Stardust al pane povero spezzato e condiviso per il transitus alla Chiesa di San Francesco di Assisi sulla 34sima, alla messa/fiesta della comunità domenicana vicino casa; dalla serata interattiva di musica (con una cantante pazzesca che con la sola voce riusciva a ricreare intorno a sè la musicalità di un intero complesso) e poesia dell'East al concerto della Jazz Orchestra della Juilliard Academy, dal famigerato Yoga della Public Library alla lunga passeggiata di Brooklyn Bridge (si, di nuovo e non mi stancherò mai di rifarla).

Penso tanto, provo sentimenti intensi e contrastanti, parlo con tanta gente ogni giorno, progetto, sogno, desidero...insomma vivo...e non è poi così scontato, no?
Vivere, ovunque, tu sia, è la prima grande conquista che puoi fare.
Notte!