giovedì 25 dicembre 2014

Pezzi di...Natale (pacco doppio da scartare)!

Sono pensieri di quasi una settimana fa. Li ho appuntati di fretta sfruttando un semaforo rosso. Mi si erano impigliati nella mente e ora cerco di liberarli, di dargli aria. Si sono nutriti della vita che ne è seguita, si sono insaporiti del Bello che mi è venuto incontro in questi ultimi giorni. 
Sono pensieri tra loro sconnessi, come fugaci illuminazioni che si accendono ad intermittenza. Per questo provo a mantenerli separati, costringendoli dentro un sottotitolo.

Il mio nuovo paio di scarpe
Ancora una volta un evento insignificante come l'acquisto di un paio di scarponcini - tanto desiderati, questo lo ammetto - si è trasformato in una "porta". Il passaggio si è aperto verso la consapevolezza del vivere "su misura". Lo ribadisco: "su misura", non "con misura". 
Quando ci affacciamo alla vita adulta è come se per la prima volta potessimo finalmente scegliere da soli che scarpe indossare. Fino a qualche tempo prima le nostre mamme hanno monitorato e sindacato il colore, la taglia, lo stile della scarpa da comprare, poi arriva un momento in un cui non si sa bene come o perché siamo lasciati soli ad avventurarci per grandi magazzini e vetrine:tutto il mondo delle scarpe è alla nostra portata. Possiamo scegliere tutto (o almeno tutto quanto è nelle nostre possibilità).L'esempio più calzante - involontario gioco di parole - è quello delle scarpe di pelle, perché proprio come una "pelle" si comportano con noi.
Appena troviamo la scarpa "eletta" percepiamo un certo benessere e nel provarla, ancora dentro il negozio, sentiamo che è lei che cercavamo: è semplicemente perfetta. Tuttavia, per uno strano maleficio perpetuantesi di generazione in generazione, spesso - a me sempre - quella stessa scarpa sottoposta ad un primo uso continuativo si rileva diabolica: lo strofinare della nostra pelle contro quella della scarpa inizia a maciullarci il tallone; l'alluce, che al momento dell'acquisto sembrava avesse trovato casa, inizia a sentirsi compresso dalla punta della calzatura. E' sofferenza! Il segreto allora è non mollare. Non lasciare che la "rigidità" della pelle l'abbia vinta, ma aspettare. Aspettare che la scarpa si modelli, prenda la forma del piede, si costruisca intorno ad esso. Se è davvero la nostra scarpa questo avverrà nel giro di poco. 
Così come per le scarpe di pelle, dobbiamo accettare che ci sia un tempo di passaggio in cui la vita si costruisce lentamente intorno a noi, in cui noi stessi le diamo forma a fatica e facendoci alle volte male. 
Per questa stessa somiglianza tra scarpe e vita non possiamo accettare di calzare una vita non nostra: camminare nelle scarpe di altri, già segnate dalla forma del piede altrui, ci fa assumere posture sbagliate, ci crea disagio, pùò addirittura deformare il nostro piede. Non possiamo costringerci dentro i passi degli altri, nè pensare che altri possano stare "comodi" dentro i nostri passi. Ad ognuno la sua scarpa di pelle: ognuno se la cucia addosso attraverso la vita, le intemperie, i terreni che dovrà attraversare.



Addio
Tante volte negli ultimi anni avrei dovuto dire "addio", ma la paura che dietro si nascondesse qualcosa di definitivo mi ha impedito di farlo. Così per non spaventarmi troppo ho inventato formule di compromesso: "allora...ciao!", "a presto", "a domani....perché in fondo c'è sempre un giorno davanti al quale sperare un domani".
Poi una settimana fa è accaduto l'imprevisto. Mi sono ritrovata, per l'ennesima volta, a salutare - a tempo indeterminato - alcuni cuori amici. So per certo che non si è trattato di un addio, ma per la prima volta mi è venuta voglia di pronunciarlo. 
Addio...ad Deum...verso Dio. Non è un saluto, non è un suono per coprire l'abbandono e ridurre la lontananza, è una promessa, come tutte carica di speranza certa. E' come dire: "non vi lascio per andare lontano, ma per trovare il modo di farmi più vicina, mettendomi con voi sulla stessa strada...ad Deum". 
Non si tratta più della possibilità di rivedersi, di riparlarsi, di trascorrere del tempo insieme, o meglio non solo. In un "addio" trova spazio il desiderio di respirare insieme l'eternità. 
Oh se ogni saluto potesse essere un "addio", l'augurio di un incontro più vero, lì dove i cuori possono spogliarsi e stare accanto nudi senza temere di essere feriti, in Dio!!!
Il gusto dell'addio è il sapore dolce della nostalgia di infinito che ci portiamo dentro.
...Addio: passi diversi, terre lontane, ma una sola direzione!

martedì 9 dicembre 2014

Pezzi di lettere 4)

Carissima Elda,
mi accade spesso di ritrovarmi catapultata dentro i luoghi di vita di altri. Ne condivido gli spazi, dormo nelle loro stanze, mangio con loro, come entità di passaggio ma ben mimetizzata:faccio presto a farmi uno con tutti, a fare casa intorno a me! Sono sempre esperienze di benedizione, doni grandi attraverso i quali mi è concesso di sentire l'odore vero,e non addolcito,dell'umano.
Attraverso realtà apparentemente molto diverse tra loro ma, di fatto, animate e agitate dagli stessi sentimenti: ovunque si muovono passioni e desideri, ovunque serpeggiano dubbi e tristezza, ovunque si fa spazio la paura continuamente in lotta con la speranza.
Le ultime stanze che ho visitato erano segnate da un certo grigiore. Gli occhi di chi le abitava erano velati, forse a proteggersi dalla violenza implicita, e non, troppe volte fissata. Le loro voci erano spente perché il fiato faceva fatica a farsi strada nella gola, nel naso, appesantito dalla rabbia e dal rancore che più di tutto facevano rumore. I loro visi sembravano aver dimenticato quali fossero i muscoli da attivare al passaggio di un sorriso per cui, come in una "ola" andata male in cui i partecipanti non sanno bene quando alzarsi e quando sedersi, spesso rimanevano sospesi in espressioni indefinite, a mezz'aria, contratte. Stanze tappezzate di amori spezzati, traditi, di rivendicazioni egoistiche, di richieste di com-passione urlate come fossero ordini, di spasmodiche ricerche di "ben-essere" trasformatesi in estenuanti tentativi di nuotare in una piscina ormai vuota.
Luoghi di povertà vera, assordante, dalla quale rischi di essere sopraffatta tale è la tua impotenza, in mezzo ai quali però la Bellezza non viene mai vinta del tutto, riuscendo ad arrampicarsi ai piccoli rami che trova disponibili come edera testarda.
Ho capito che per attraversali davvero occorre abdicare subito. Rinunciare all'idea di dover e poter salvare qualcosa o qualcuno. E stavolta credo di averlo fatto, facendomi ancora una volta  "foglia docile". Così ho sentito farsi strada e fare capolino al mio orecchio le parole sempre nuove, tanto sono dense, di quella che giustamente conosciamo come la "preghiera semplice": è semplice perché è immediata, diretta, è di totale adesione al reale."Fa di me uno strumento della Tua Pace": solo uno strumento, quale che sia, quello che ti serve, quello che ritieni più utile, al servizio della Tua Pace.
 "Dove è offesa, ch'io porti il Perdono.Dove è discordia, ch'io porti l'Unione...Dove è disperazione, ch'io porti la Speranza.Dove è tristezza, ch'io porti la Gioia". Ecco!Che pace, cara Elda, non appena ho capito che niente altro mi si chiedeva che questo: rendere disponibile agli altri quello che avevo conosciuto in Lui, senza dover mentire assecondando le letture di disperazione e discordia degli altri. Comunicare la Verità della Gioia e la Libertà che ne deriva, niente altro. 
Così, durante quest'ultima visita nelle stanze degli altri, ho capito cosa voglio fare da grande (finalmente dirai tu!): la portinaia!Ma non per chiudere le porte dietro gli altri - come pure qualcuno mi disse - ma per spalancare porte e finestre nella vita di quanti mi sarà fatto dono di incontrare.
Quelle stanze, quei luoghi, quelle vite hanno bisogno di aria, di respirare aria buona, l'unica che rimette in circolo l'ossigeno. Io voglio farmi strumento perché quell'aria circoli, entri la luce, si riaccenda la Speranza.
Unisciti a me, Elda: spalanchiamo queste finestre per chi non è capace e non ha più la forza di farlo da sé.