giovedì 5 dicembre 2013

A volte ritornano

Il tempo è stato poco ma le fasi necessarie sono state  attraversate tutte: al pregiudizio è seguita la diffidenza, quindi una lenta e faticosa apertura al nuovo, la compartecipazione fino all'identificazione.
Come tutte le illuminazioni questa è arrivata apparentemente sconnessa dalla realtà. Così, mentre tagliavo le patate da preparare al forno, ho capito: ho odiato New York perché io sono come lei. Io con la mia voglia di essere tutto e la paura che mi spinge verso il niente; io multiforme e alle volte senza identità; io accogliente ma spesso dispersiva; io frammentata dentro un'apparente unità; io dai facili entusiasmi che svaniscono al tramonto; io che negli ultimi anni mi sono ricreata ogni giorno una vita diversa senza averne davvero nessuna.
Ho accusato questa città di avermi imposto un ritmo frenetico, di aver accelerato i miei battiti quando invece ero io ad imporle i tempi del mio cuore affannato. La lotta con New York è stata sin da subito una lotta con me stessa, con la parte più "liquida" di me. Nessun mito, nessuna adorazione per la Grande Mela, perché in lei ho ritrovato tutti i miei limiti. 

Il ritorno è stato il tentativo deciso di superarli questi limiti, di provare a guardare oltre. Non posso dire che il tentativo sia riuscito ma qualche frutto è senza dubbio venuto da questo gesto di abbandono.
Quello dal sapore più intenso è il dono della tenerezza: così come nel lasciare questo posto ho dovuto ammettere a me stessa una fragilità che mai mi ero riconosciuta, allo stesso modo nel tornare mi sono concessa di provare la mancanza. Per tre anni ho pensato di esserne immune, ora so che così non è, ma che esiste uno strumento per colmare le distanze vale a dire l'amore, e soprattutto l'amore rivestito di tenerezza. Nell'amore scopri che davvero il tempo si può fermare e che esiste uno spazio in cui l'amato e l'amante restano per sempre insieme. Nella tenerezza smorzi le fiamme della mancanza che potrebbe divorarti e vivi l'esperienza dolce della commozione che ti fa vedere l'altro con uno sguardo pulito.

Questa la cornice dei pensieri e in questa cornice si è in queste settimane formato un nuovo quadro fatto di volti amici ritrovati, di luoghi visitati, di scoperte. Dal momento che ci sono tanti passaggi da recuperare procedo con ordine.

Sono ripartita dal simbolo di una ferita ancora sanguinante per questa terra che devo dire anche in questo mi somiglia: mi sono ritrovata nel disorientamento, nello stupore di chi si vede attaccato proprio al cuore e scopre di essere più debole di quello che credeva.

9/11 Memorial 





E andando di simbolo in simbolo non potevo che tentare un primo approccio con la Signora di Ellis Island. Impossibile rimanere impassibili al pensiero di quel misto di disperazione e speranza che animava gli occhi dei tanti migranti che in quella Signora hanno riconosciuto il primo compimento della promessa di una vita diversa. Il passato non passa, rinnovandosi in un continuo presente.




Due salti da Barbès sulle note di una simpatica orchestra che suona musica balcanica ed è già tempo del ringraziamento.
Nuova valigia, nuovo volo, nuovo fuso orario. Direzione: Milwaukee!
A sole due ore di distanza da New York tutta un'altra America. Ad aspettarmi: un pezzo di famiglia sconosciuto e bello da scoprire, immense praterie innevate, il silenzio...oltre ovviamente al vero protagonista del weekend...

Un tour all'insegna della natura



 della buona cucina (lo so, sembra assurdo associato all'America ma non posso negare che sia stato così),
dell'arte
















e...delle moto =)































La neve ha congelato i pensieri e mi ha spogliato di quest'ultima barriera che mi rimaneva. A Milwaukee si è compiuta l'ultima spoliazione di quest'autunno che prima mi ha rubato i desideri, poi mi ha tolto la voce, quindi i sussurri, si è impossessato anche della mia capacità di ascoltare e alla fine si è portato via i pensieri. Che povertà...ma che libertà a pensarci bene!
Così povera e nuda anche io ho reso grazie. Che bella invenzione il Ringraziamento...una di quelle feste da celebrare nel quotidiano, proprio come Natale rispetto al quale rappresenta un po' la porta di ingresso.
Infatti torno da Milwaukee e per le strade di New York trovo luci e decorazioni, alberi e Babbo Natale, mercatini e aria di regali.









Si è aperto insomma un tempo di attesa, il tempo in cui mi auguro le mie piccole attese possano trovare compimento nell'Attesa più grande.
Aspetto quindi, senza fretta ma anche senza troppa indecisione.
Buona notte!

 

martedì 15 ottobre 2013

"Abbassa la tua radio per favor...se vuoi sentire i battiti del mio cuor"

"Sarebbe tutto più facile se non ti avessero inculcato questa storia del finire da qualche parte, se solo ti avessero insegnato, piuttosto, a essere felice rimanendo immobile. Tutte quelle storie sulla tua strada. Magari invece siamo fatti per vivere in una piazza, o in un giardino pubblico, fermi lì, a far passare la vita, magari siamo un crocicchio, il mondo ha bisogno che stiamo fermi, sarebbe un disastro se solo ce ne andassimo, a un certo punto, per la nostra strada, quale strada?, sono gli altri le strade, io sono una piazza, non porto in nessun posto, io sono un posto" (A. Baricco)

...questo è un po' il succo dei pensieri di questi ultimi giorni, pensieri sollecitati dai posti visti, dalle persone incontrare, di cui avrei voluto condividervi le foto, ma stasera la connessione non me lo consente...dovrete accontentarvi dei pensieri=)

Io sono una piazza, un giardinetto e non posso andare contro la mia natura. La possibilità di essere strada mi attira ma al contempo mi paralizza, deprime le mie energie buone.
Non voglio rimanere immobile ovviamente, ma voglio "esserci" nel mio ora e nel mio qui nel modo più pieno, e non vivere continuamente protesa verso mete non meglio identificate. Io sono una piazza, un crocicchio perché voglio essere "abitata" dalle persone, voglio che si fermino nei miei spazi, che li gustino.
Un giardinetto stile Bryant Park o Union Square, in cui chiunque arriva può prendere una sedia e mettersi comodo, o un tiepido Central Park d'autunno in cui distendersi al verde per lasciarsi accarezzare dal sole.

Io sono una piazza da attraversare: non voglio trattenere nessuno, perchè  nessuno mi appartenga mai davvero e io possa amare tutti in libertà (la mia e la loro).

Pensieri che hanno riempito il mio fine-settimana piuttosto impegnativo...Sabato ho girato come una trottola impazzita, tra la 85sima e Central Park, tra un vera colazione americana - con tanto di burro alla fragola per i pancakes, e il festival dell'architettura. Nel tardo pomeriggio sono approdata sulla 23rd a sperimentare il pezzo di cielo "italiano" che si vede dal roof garden di Eataly con un bicchiere di Bianco delle Langhe in mano e per continuare nel mood nostalgia ho cenato con una veloce pasta per poi finire negli ormai noti locali dell'East a sentire tanta musica. La mattina dopo mi sono risvegliata, sempre nell'East, con solo 4 ore di sonno all'attivo; ma avevo un appuntamento con una persona tanto cara al mio cuore e non intendevo mancarlo. Ho sceso le scale e sono arrivata in strada nel più totale silenzio: bella New York alle 7:30 di domenica! Ho respirato fino in fondo il silenzio che mi circondava. Neanche dieci minuti a piedi prima di arrivare alla metro, ma mi sono parsi eterni. Ho misurato i miei passi, ho sniffato con gusto l'odore della caffetteria Vita, e lì credo di aver capito cosa la città voleva insegnarmi per questi giorni:la radice della nostra continua insoddisfazione è proprio il voler mangiar dell'albero della conoscenza del bene e del male. Una città come New York ti fa sperimentare in piccolo una verità valida per l'intera vita: quasi sempre siamo mossi dal desiderio del "tutto", ma non del "meglio". Vogliamo vedere, sentire, provare, sperimentare, mantenere, vivere tutto, ma non ci chiediamo cosa per noi sia il meglio. Ci affanniamo, soffriamo, ci esauriamo rincorrendo questo desiderio di "tutto", di perfezione per noi irrealizzabile, e non ci accorgiamo che il "meglio" quasi sempre sta nel "poco" o meglio nel "piccolo".


Ultimo pensiero...Ho usato sempre troppe parole per "circoscrivere" la mia vita, continuamente alla ricerca della parola migliore per definire le situazioni, i sentimenti, continuamente impegnata a fare propositi di etichettatura. Ci rinuncio, ufficialmente. Accetto il complicato mondo di contraddizioni che mi porto dentro perché sento che finalmente Qualcuno lo ama davvero e depongo la penna per un po' perché non sia più io a dare forma (o a cercare di dare forma) alla realtà con le mie parole, ma la realtà, anzi la Verità, a riempirle e a dargli senso.
Abbasso il volume delle mie "radio" cari amici...almeno per un po' per cercare di decifrare i battiti del cuore.


mercoledì 9 ottobre 2013

Non è più in vetrina...ma ne sono parte.

Ho aspettato un po' per scrivere questo nuovo post. Ho aspettato di avere nuove foto da condividere, di trovare nuove storie da raccontare.
Ma non ne ho in effetti. E non perché in queste due settimane il mio soggiorno a NY si sia improvvisamente "svuotato", anzi...
Ho smesso di mettere NY in vetrina e ho iniziato a viverci davvero.
Ho iniziato a tessere il mio quotidiano, che ha preso la forma del vivere comune a tutti: è fatto di ritmi, di tempi che si ripetono con armoniosa continuità, è fatto di fatica, di lavoro, ma soprattutto è fatto di familiarità.
Familiari sono diventati i volti, i luoghi, i gesti. Bello avere un volto amico che ti aspetta alla fermata della metro per far un pezzo di strada con te; un sorriso noto con cui condividere il pranzo; entrare nella sala lettura e guardarti intorno avendo qualcuno da cercare; avere occhi che iniziano a riconoscere i movimenti del tuo cuore intravedendoli nei tuoi occhi.

Forse il prezzo da pagare è il perdere un po' dello stupore, ma esiste la possibilità di mettere insieme le due dimensioni: il gusto rassicurante delle cose che iniziano a "sapere" di te e quello  intrigante delle cose mai provate e tutte da scoprire. Si può continuare a meravigliarsi anche vivendo ogni giorno la stessa cosa: la meraviglia è una condizione dell'anima, che nasce dal saper ascoltare, nella possibile immutabilità dell'essere, la mutevolezza del respiro.

Ho smesso di fare foto ad ogni angolo (il che certo non vorrà dire che non ne farò più) perché ho smesso di guardare dall'esterno questa città: ho iniziato ad entrarci, a diventarne parte...almeno un po'.
Ad accrescere questa sensazione l'incontro inaspettato con un'amica vera del mio cuore, di passaggio per qualche ora qui. La sensazione di accoglierla in uno spazio in fondo "mio" e anche un po' "suo", unita alla percezione che quando sono i cuori ad incontrarsi, e non solo i corpi, il dove sia davvero irrilevante: casa.

Non ho foto, quindi, da condividervi ma vita quella sì, consapevole che la vita pulsa a NY come in qualsiasi angolo dell'universo.
Il mio tempo qui si è arricchito di nuovi compagni di strada che sono diventati compagni di scoperte: storie diverse, diverse radici, ma nella voce e nel cuore desideri e difficoltà comuni. La solidarietà facilita il senso di appartenenza e lo alimenta (e questa è una verità sociale). Loro il contenuto vero delle cose che sperimento che fanno da cornice.
L'offerta infinita di questa città  mi ha portata dall' happy hour al museo buddista (con a seguire cena Thai a base di maiale ed ostriche:super!), al documentario sul movimento MOVE  al Forum Film; dal sandwich canterino e ruomoroso di Stardust al pane povero spezzato e condiviso per il transitus alla Chiesa di San Francesco di Assisi sulla 34sima, alla messa/fiesta della comunità domenicana vicino casa; dalla serata interattiva di musica (con una cantante pazzesca che con la sola voce riusciva a ricreare intorno a sè la musicalità di un intero complesso) e poesia dell'East al concerto della Jazz Orchestra della Juilliard Academy, dal famigerato Yoga della Public Library alla lunga passeggiata di Brooklyn Bridge (si, di nuovo e non mi stancherò mai di rifarla).

Penso tanto, provo sentimenti intensi e contrastanti, parlo con tanta gente ogni giorno, progetto, sogno, desidero...insomma vivo...e non è poi così scontato, no?
Vivere, ovunque, tu sia, è la prima grande conquista che puoi fare.
Notte!






domenica 29 settembre 2013

Prime conclusioni parziali

Allo scoccare del 19° giorno senti di aver preso un po' di confidenza con la città: inizi a darle del tu, non utilizzi più ogni due minuti la cartina della metro, conosci le direzioni principali, ci sono due o tre zone in cui ti muovi con familiarità ostentata, la cassiera del supermercato ti riconosce, addirittura qualche poveraccio (sperduto come te il primo giorno) si azzarda anche a chiederti  informazioni sulla strada e tu gliele sai dare.
E così senti di poter iniziare a fare piccole sintesi e tiri fuori le tue "verità" parziali.
Ve ne condivido alcune:
1)Impossibile pensare di sopravvivere mangiando tre mesi come "loro". Li preparano dalla nascita,tu misero europeo dal pancino delicato non potrai mai eguagliarli. Decisione: limitare al weekend lo sfondamento totale!





2) L'insalubrità della loro alimentazione ordinaria ha raggiunto un livello tale per cui "loro" stessi si stanno ribellando: proliferano ad ogni angolo e in ogni piazza, in piena Manhattan, mercati di frutta e verdura, fiere del biologico. E li vedi emozionarsi davanti ad un pomodoro "organico"!Protagonista assoluta dei mercati in questo periodo????E' lei...pronta a trasformarsi in facce inquietanti!!!




3) Per gli americani il dormire comodi è una questione seria!Sarà che passano metà della giornata a dormire nelle posizioni più assurde sulla metro...sta di fatto che la città (alle fermate metro soprattutto) è tappezzata di cartelli pubblicitari di materassi (che fanno il paio con quelli sulla "felicità sostenibile" di non so qualche scuola di filosofia e con quelli che ti danno consigli su come essere un buon padre). Il dormire bene qui è una questione sociale  : dal dormire di ognuno dipende il benessere collettivo. Quindi crepi l'avarizia: doppio materasso per tutti, altro che principessa sul pisello!!!

4) A New York non puoi non amare la musica di qualsiasi genere, di qualsiasi tipo. Ne sono imbevuti, se la portano dentro, la respirano nell'aria. C'è posto per tutti...ne troverebbe uno suo anche Gigi D'Alessio. Così una sera che non sai cosa fare puoi tranquillamente decidere di sprecare un giretto nell'East e a seconda di dove ti porta l'orecchio entri nei localini che si spingono per stare tutti in fila sul marciapiede ed eccoti servito: al prezzo di una birra puoi godere di 4/5/6 concerti, uno dopo l'altro!Musica dal vivo di buon livello al prezzo di una Corona. Cin!



5) A New York sopravvivono per "compensazione", e per compensazione alla caoticità di Manhattan si oppone la pace irreale dei parchi.



6) Una cosa senz'ombra di dubbio hanno da insegnarci: il senso della "cosa pubblica", dello spazio pubblico, della comunità. I newyorkesi vivono la città, la "occupano". Praticano sports, ascoltano musica, leggono, si rilassano, fanno picnic, chiacchierano ad ogni angolo della strada come fosse parte di casa loro. Lo capisci che la sentono come fosse un prolungamento della loro abitazione. Si portano dietro le coperte, le sdraio, i panini e occupano le piazze come fossero il loro terrazzo. I bambini giocano nei campetti pubblici di cui è disseminata la città un po' come nei nostri cortili di una volta. Uomini di tutte le età siedono ad orario continuato ai tavoli con  le scacchiere di Washington Square. Ognuno si sente libero di uscire di casa portarsi dietro una radio andare in piazza e mettersi a ballare. Lo spazio pubblico è di tutti e quindi di ognuno!Le case saranno anche piccole ma non importa: la  città è la loro casa!P.s.: forse pensano che la metro sia la loro cucina secondo questa logica: incredibilmente sulla metro si mangia a ciclo continuo come fosse una tavola calda!





6) I cafè devono svolgere delle parallele attività economiche illecite che gli consentono di rimanere aperti,altrimenti non si spiega come possano sopravvivere considerando che tu puoi andar lì prenderti proprio a sforzarti un espresso da due dollari e occupargli il tavolo, utilizzando la loro connessione, per una giornata intera senza che nessuno ti dica nulla.

7) Gli americani sono davvero avanti quanto a metodi per gestire le ordinazioni nei locali: vedi sistema nominativo da Starbucks (ma non solo) e sistema "shaking" dal mitico Shake&Shack!

Lettura in corso: Trattato "Galateo" di Giovanni della Casa in inglese trovato ad un dollaro in un baracchino di un enorme biblioteca...non chiedetemi perchè!

Esperienza consigliata per chi si trova a New York per più di due settimane: i corsi di conversazione (e non solo) organizzati dai volontari alle sedi della National Library: un modo simpatico per sentirsi un "estraneo familiare", per chiacchierare con gli anziani della storia americana e sentire le voci degli immigrati alla ricerca del sogno americano!P.s.Vi farò sapere come sono i corso  di Yoga=P!

lunedì 23 settembre 2013

Costruire più che ritrovare.

Come un giovane saggio mi ha fatto notare qualche giorno fa, la verità è che non puoi pensare di ritrovare te stessa in un posto rispetto al quale non hai memoria. Potrai scoprire nuove parti di te, ma farai girare la tua mente e il tuo cuore a vuoto se pretenderai di intravedere quello che sei stata in luoghi in cui devi ancora essere.
Lo spazio del divenire è tutto da scrivere:certo la consistenza della pagina è quella di sempre, è quella che ti appartiene, ma il testo lo scrivi con il "contesto". E alla scrittura ci si approccia con il cuore disponibile altrimenti la pagina rischia di diventare un'accozzaglia di scarabocchi senza senso se non di rimanere bianca.
90 giorni alla fine, 90 giorni in cui scrivere questa pagina nuova. Un impegno per ogni giorno. Oggi: abbandono.



Questo il sottofondo dei pensieri al mio movimento per le strade della City.
La città dei grandi magazzini e dei baracchini della frutta agli incroci delle strade.
La città dell'individualismo ma dello spazio pubblico "vissuto", conquistato dai cittadini.
La città frenetica ma in cui puoi benissimo trovare strade chiuse per bbq di quartiere in corso in cui i bimbi con volti disegnati corrono per le strade, e un cinemino all'aperto improvvisato dai genitori che proietta Mulan.
La città dei singles ma anche delle famiglie giovani, che credono sia ancora possibile proiettare il futuro oltre se stessi, in cui un papà con un gessetto in mano disegna strade immaginarie per il figlio che ad ogni passo costruisce la sua storia fantastica.

Nuovi spazi conquistati:
1) Greenwich Village: Bleecker street consumata a furia di camminarci+ Cafè Wha+ Caffè Reggio (da Reggio Calabria: momento di campanilismo)














2)Chelsea Market....e botta calorica giornaliera:CUPCAKEEEEE!!!














3) Sulle orme di Harry e Sally Washington Square (con annesso commuovente concerto di artista di strada)+ Hamburger "internazionale"di rito a Corner Street in questo primo American Friday

4)Sabato assolato alla scoperta di Prospect Park ...







5) ...dell'eterno Luna park di Coney Island con l'hot dog di Nathan's (the original), una folla di gente di tutte le età in pista a ballare come fosse capodanno e sopratutto....





l'orizzonte...FINALMENTE=)=)=)!!!!











Vero mito dell giornata.....LUI (si legge la scritta sulla maglietta???)


Se è vero che le radici che contano sono quelle del cuore, è allora possibile sentirsi "radicati" in qualsiasi luogo...specie se le radici profumano di Lui.