sabato 16 agosto 2014

Sólo Dios basta.

L'insufficienza è una pratica quotidiana. La sperimenti nelle situazioni più banali così come in quelle vitali. Ti svegli al mattino pensando alle cose che vorresti o dovresti fare durante il giorno e quasi sempre non riesci a portarle tutte a termine come avresti voluto: qualcosa va storto, c'è qualche sbavatura, qualche imperfezione, qualcosa che si mette di traverso lungo il cammino, a meno che tu non decida di indossare dei bei paraocchi che ti aiutino a non vedere quello che ti succede intorno e che pure reclama la tua attenzione scombinandoti i piani.
A lavoro, nella comunità di cui fai parte pensi che potresti e dovresti dare di più, fare qualcosa per attivare il cambiamento, lo immagini, ne hai una visione, ti attivi perché diventi realtà ma proprio allora ti accorgi che il tuo sforzo è in sé insufficiente: le correnti avverse sono davvero forti da padroneggiare.
Ti proponi di esserci per quelle persone, per quei cuore assetati che hai incontrato lungo il cammino ma quando cerchi di farlo per tutti ti accorgi che il tempo per l'amore non è mai abbastanza, che i pezzi di corpo in cui puoi spezzarti non sono mai sufficienti per sfamare tutti. Le energie, il tuo corpo, la tua mente, tutto ti parla di un limite da sopportare, o forse meglio da abbracciare. Ancor più quando in quei cuori incontri il dolore, la disperazione: ti affacci al baratro che ha preso casa in loro e ti accorgi che la cordicella che hai legato intorno alla vita per penetrarvi è troppo corta e forse non reggerà tanto peso. Allora il rischio è di esserne sopraffatti. Sopraffatti dal vivere, dai suoi ritmi, dalla rassegnazione, dalla sofferenza senza prospettiva che alberga in tanti, dalla loro rabbia - quella di chi chiede, esige e ha diritto ad avere spazio in te.
La percezione dell'insufficienza protratta nel tempo genera solo frustrazione se non la si tramuta in consapevolezza pacificata. Siamo poco più che un respiro ripetuto nel tempo.Un respiro inconsapevole di cui alle volte non riusciamo neanche a controllare il ritmo.
Cosa pretendere da noi stessi? Forse solo di esserci, di non rinunciarci, presenti in ognuno di quei respiri. Ma lo puoi fare solo se c'è un di più a darti il ritmo nel respirare e a chiederti di trovarlo. Una ragione, la Ragione. Quella per cui proiettare lo sguardo un po' più in là quando pure tutto ti suggerirebbe di restringerlo all'ora, al contingente, al puntuale. Quella ragione per me è la certezza che siamo parte di un corpo più grande in cui anche il nostro più piccolo battito fa la sua parte. Un corpo nel quale gli sprechi del quotidiano fatti nella verità e nell'amore diventano promesse di eternità, nel quale i nostri miseri sforzi diventano i piccoli passi possibili di un agire più significativo, nel quale batte un cuore più grande del nostro l'unico in grado di contenere tanto dolore, tanta compassione  illuminando con la speranza la disperazione.
Io non basto a me stessa né agli altri, ma proprio per questo amo e sono Amata.