domenica 21 settembre 2014

Pezzi di lettere...


Carissima Elda,
Ti scrivo dal mio rifugio sul mare, seduta alla soglia di quel punto imprecisato in cui l'Estate cede la staffetta all'Autunno.Una staffetta falsata quest'anno più che mai: l'Estate non è stata convinta di se stessa fino in fondo e sta tentando di rifarsi sull'Autunno guadagnandosi ancora qualche settimana.
Questi che ci hanno separate sono stati per me mesi strani, un anno intero a dir la verità. Si, un anno fa ormai camminavamo insieme per quelle strade affollate di gente, rumori e odori, unendo le nostre chiacchiere e le nostre risate a quel coro scoordinato che in sé celava però tutta l'armonia dell' umanità varia.
Camminavamo con gli occhi della meraviglia davanti a quella pellicola che ci si svolgeva dinnanzi, camuffando l'emozione con un finto distacco. Come eravamo finite lì nessuna delle due avrebbe saputo dirlo, ma in questa inconsapevolezza credo abbiamo potuto imparare che si è sempre lì dove si deve essere e si è chiamati a vivere - nel significato più pieno che questa parola può avere - lì dove siamo posti, in quell'unica porzione di reale che ci è dato di vedere, toccare, gustare,sperimentare. Ecco uno degli insegnamenti della Città che a un anno di distanza mi ritrovo ad assaporare come frutto maturo. A dirtela tutta, e volendo usare un'immagine casalinga, coi frutti venuti da quell'esperienza magica quanto vera ho fatto tante marmellate da conservare nel tempo e ritirare fuori per risentirne il sapore ogni volta che il mio palato inizia a fare cilecca e a non ricordarsi più i gusti. Proprio in questi giorni ho dovuto rispalmare un po' di quelle marmellate per riportare alla mente due frutti. Uno è quello che ti ho appena detto, scontato quanto rifiutato dalla nostra mente: non viviamo che nel presente e i continui tentativi di fuga verso il nostro passato o verso il futuro sono stancanti e vani come la corsa di chi va controsenso su un tapis roulant. Il nastro ti riporta sempre allo stesso punto. Quanta fatica, quante energie impieghiamo nello sforzo - tutto mentale- di modificare ciò che è stato o di controllare e pianificare ciò che ancora dovrà essere,creandoci così dei buoni alibi per non essere del tutto presenti al presente.Ma se quel passato è già stato, il futuro potrebbe non essere mai.Ora sono qui, ora ti scrivo, ora ti penso, ora ho l'occasione di dirti quello che provo, ora...Cerco, quindi, mia cara Elda di affondare più che posso le mani in questa realtà schiumosa e un po' confusa che mi è dato di vivere oggi. 
L'altra marmellata riassaporata in questi giorni riguarda l'abbandono delle mie rigidità legate a quel bisogno, quasi ossessivo, di gestire, sapere, prevenire. Abbandonare ogni lettura rigida della realtà così da rimanere aperti ai significati aggiuntivi, alle esperienze bonus che può offrire. Tanto più il tuo cuore è aperto tanto più il mondo ti risponde con la vita. E così anche da quell'incontro a cui non davi una lira, anche da quell'esperienza che in sé ti è parsa uno spreco, può iniziare a fluire vita nuova. Abbandonare la rigidità: è stato un po' il motto del cammino di quest'anno senza che io l'abbia scelto. Un motto diventato necessario nel momento in cui ho capito che quello che mi aspettava era un lungo processo di spoliazione. 
La spoliazione è iniziata con te, Elda, che con i tuoi occhi accoglienti e privi di ogni giudizio mi hai riconsegnato a me stessa, oltre le immagini che di me avevo e che il mondo mi aveva sempre rimandato. Mi hai lasciato intravedere ciò che potevo attendermi alla fine della spoliazione. 
Spogliarsi non è scontato, non più dopo la "caduta", non tanto per chi come me spesso ha usato il pudore per nascondere la vigliaccheria. Per questo è stato un cammino duro, di cui in alcuni tratti non riuscivo neanche ad immaginare la fine. Tolto uno strato sotto ne compariva un altro, di tessuto diverso, di diverso spessore, ma comunque in grado di coprire, di trattenere l'aria, la luce, di distorcerne il passaggio. Di quanti strati siamo capaci di ricoprirci?Soffochiamo alle volte pur di non dover rinunciare a nessuno strato, pur di non spogliarci, pur di non gettare qualcosa di noi stessi lungo il cammino. Stringiamo le dita attorno a quei veli che coprono gli occhi, il cuore, che bloccano le mani, intralciano i piedi: respiriamo male, ci sentiamo braccati ma non vi rinunciamo. E' il grande inganno del male: farci pensare che per essere bisogna avere, che per avere non si deve rinunciare, che ogni rinuncia è perdita, fallimento.
Così allora la Città e tu, con la tua spontaneità disarmante,  mi avete iniziata alla spoliazione. Non posso dire di essere tornata alla nudità - e forse in questa vita non mi/ci è dato di arrivarci - ma godo dei segni di una nuova leggerezza.
I pensieri mi sono un po' sfuggiti  e hanno iniziato a dettare alla mano un corso diverso da quello che avevo immaginato per questa lettera, costringendomi a scriverti queste parole anziché altre. Ma con chi se non con te potrei assecondare i pensieri senza troppi problemi? Ho tanto da raccontarti tante cose amica mia, ma mi riservo di farlo in un altro tempo. Intanto, ti prego, raccontami di te: quali pensieri ti hanno abitata?Quali sogni hanno ravvivato il tuo sonno?Cosa hanno sfiorato i tuoi occhi in questo tempo? Il mio cuore si nutre della tua gioia e vive per sostenere il tuo nella fatica, concedigli quindi di fare il suo "lavoro".
Ti abbraccio con dolcezza, un abbraccio che sa di sale e insieme di pioggia, qui, da questa soglia all'incrocio tra l'estate e l'autunno.
A presto.